Allenare in 3D: movimento, scienza ed intuizione nella pratica del trainer

Allenare in 3D: movimento, scienza ed intuizione nella pratica del trainer

di Pietro D’Angelo – Chinesiologo, Personal Trainer, Docente FTS

Oltre il muscolo, oltre l’esercizio, cerca il gesto

Quante volte ci capita, anche inconsapevolmente, di strutturare un’intera seduta pensando a quali muscoli coinvolgere, piuttosto che a quali movimenti proporre? È un errore comune, figlio di un’idea dell’allenamento che ancora troppo spesso isola, scompone e divide, laddove il corpo umano funziona per integrazione.

Nel mio lavoro quotidiano con allievi di ogni livello, vedo quanto sia trasformativo cambiare prospettiva: passare dall’allenare muscoli all’allenare schemi. È questa la chiave per un allenamento realmente funzionale. Perché – e non mi stancherò mai di ripeterlo – il nostro cervello non pensa in termini di deltoide o quadricipite, ma di spingere, tirare, saltare, ruotare.

I tre piani di movimento: la grammatica del corpo

Ogni gesto efficace coinvolge, in misura variabile, tre piani:

  • Il sagittale, che usiamo quasi sempre (es. camminare, correre, piegarci);
  • Il frontale, che già si allena meno (es. camminate laterali, affondi laterali);
  • Il trasversale, che troppo spesso ignoriamo, e invece è cruciale per la stabilità e la prevenzione.

Nel nostro corso di primo livello lo diciamo chiaramente: allenarsi solo sul piano sagittale significa muoversi a metà.

Eppure, basta osservare lo sport, o la vita reale: i cambi di direzione, le torsioni, gli appoggi instabili… Tutto accade nel caos tridimensionale del movimento vero. E allora, perché continuare a ignorarlo?

I Primal Patterns: la base del nostro linguaggio motorio

Squat, lunge, push, pull, hinge, twist, gait e rolling: questi sono gli schemi primari che ogni essere umano impara nei primi anni di vita… per poi dimenticarli. Il nostro compito, come formatori e coach, è riattivarli.

Io stesso, nella programmazione settimanale dei miei allievi, mi faccio una semplice domanda: quanti di questi pattern sono presenti nel microciclo? Se ne mancano due o tre, so che il piano va riequilibrato.

Non si tratta di filosofia: si tratta di logica evolutiva, di efficienza, di salute. Lo dice la scienza, e lo conferma la pratica. Movimenti diversi, su piani diversi, rendono il corpo più stabile, reattivo, adattabile.

Allenamento funzionale = azione + funzione

Guido Bruscia ci ha trasmesso un principio tanto semplice quanto potente: allenare una catena motoria significa rispettarne sia l’azione che la funzione.

Ad esempio: il kettlebell power swing non è solo un esercizio pliometrico, è il miglior modo che conosca per insegnare la flesso-estensione dell’anca ed allenarne la sua principale funzione: la propulsione. I piegamenti sulle braccia, se eseguiti con attenzione a postura, appoggi e varianti angolari, non sono solo un lavoro per il petto, ma un esercizio globale per stabilità scapolare, controllo del core e catena anteriore.

Ogni esercizio, se proposto nel modo giusto, è un mezzo. Ma solo se capiamo perché lo stiamo usando. Altrimenti, diventa solo un numero su una scheda.

L’arte del coaching: sapere, saper fare, saper far fare

Qui si apre un tema che mi sta particolarmente a cuore: la differenza tra chi conosce, chi sa eseguire e chi sa insegnare.

Molti ex atleti diventano istruttori pensando che basti riproporre ciò che ha funzionato per loro. Ma coaching non è imitazione, è trasmissione consapevole. Richiede studio, sensibilità, adattamento.

Come una volta lessi nelle pagine di un libro di un grande allenatore, sapere come fare (knowing how) non significa  automaticamente sapere perché funziona (knowing that). Solo unendo i due livelli possiamo davvero aiutare chi ci segue.

Nel mio lavoro, spesso uso immagini, metafore, esempi pratici. Non perché sia un vezzo, ma perché ogni allievo apprende in modo diverso. C’è chi ha bisogno di visualizzare, chi di sentire, chi di ripetere. Il bravo trainer è quello che cambia linguaggio, non quello che pretende di essere capito sempre allo stesso modo.

Corsi di gruppo e mini classi, grandi responsabilità

Tutto questo assume un’importanza ancora maggiore quando parliamo di corsi di gruppo e mini classi.

Lavorare con gruppi di 6, 8, 12 persone – magari eterogenee per età, livello motorio, esigenze – in spazi e tempi ridotti (le classiche 3 sedute da 50 minuti a settimana) è una sfida quotidiana.

Proprio per questo, la programmazione deve essere ancora più rigorosa e bilanciata. Ogni lezione dovrebbe contenere una rotazione logica degli schemi motori, dei piani di movimento, dei sistemi energetici. Invece, spesso vedo lezioni dove si fa sempre lo stesso: squat, plank, burpees, mountain climber… il tutto in circuito. Magari sempre sagittale, sempre bilaterale.

Il risultato? Come dico spesso parafrasando Shakespeare: “Tanto sudore per nulla”.

Perché sudare non basta. Serve un disegno, una coerenza. Serve rispetto per il tempo delle persone, per il loro corpo e per il loro potenziale.

Intuizione ed esperienza: ciò che non si trova nei libri

C’è un aspetto che raramente viene trattato nei manuali, ma che ogni allenatore che si rispetti, conosce bene: quella forma di intuizione che nasce solo dall’esperienza diretta sul campo.

Non parlo di improvvisazione, ma di una sensibilità affinata col tempo. Quando hai allenato decine, centinaia di corpi diversi, inizi a riconoscere segnali sottili. Capisci quando è il momento di alleggerire un carico, anche se il piano dice di aumentare. Percepisci quando un allievo ha bisogno di uno stimolo diverso. Intuisci che è il giorno giusto per un personal best o quando è meglio evitare.

Come mi disse un grande allenatore: ”i programmi di allenamento si scrivono sempre a matita”

È in questi momenti che emerge il vero coach: quello che sa deviare dal protocollo, non per ignoranza, ma per profonda comprensione del contesto reale.

Ed è qui che scienza e pratica si incontrano davvero. Perché se la programmazione ti guida, l’esperienza ti orienta. 

E questo non lo trovi su Google, lo trovi solo in palestra, ascoltando, osservando, sbagliando e ricominciando.

Vuoi veramente diventare maestro del movimento?

Se oggi sei un trainer, chiediti: sto insegnando un esercizio, o sto educando al movimento?

Allenare in 3D non è una moda. È tornare alla nostra natura. È recuperare le connessioni tra piani, schemi, sensazioni e, soprattutto, sporcarsi le mani con la pratica.

Non si può allenare solo sui libri. Non si può imparare davvero da un tutorial o da un corso online. Serve presenza, serve ascolto, serve esperienza reale.

Allenare in 3D significa anche dare al corpo ciò che ha sempre saputo fare, ma aveva dimenticato.

E quando vedrai un allievo eseguire un get-up, un push press, una walking lunge con carico in modo fluido e consapevole, capirai che non stai solo costruendo forza. Stai formando coscienza motoria. Stai educando alla salute.

Stai facendo la differenza.

Se ciò che ho scritto ti ha “acceso” qualche lampadina, clicca sul link ed inizia il tuo cambiamento:

https://www.functionaltrainingschool.com/categoria-prodotto/corsi/?orderby=data-evento

Buon lavoro, coach.